01 aprile 2017

ConiglioViola, Le notti di Tino Bagdad, Studio Museo Francesco Messina – Milano

di redazione

ConiglioViola, Le notti di Tino Bagdad, Studio Museo Francesco Messina - Milano

“Le notti di Tino Bagdad” è un progetto ibrido e
diffuso di arte pubblica, dove il mondo analogico e  digitale si incontrano in un frammentario
universo narrativo che vede la principessa Tino, protagonista della raccolta di
novelle del 1907 di Else Lasker-Shüler, il cui nome ispira il titolo della
mostra, immolarsi per salvare e rendere così immortale la poesia. Con un taglio
estremamente romantico, il visitatore è invitato ad entrare in questo
misterioso mondo orientaleggiante ed espressionista non solo grazie al suo
sguardo, ma anche grazie alla tecnologia degli smartphone. Difatti, per mezzo
dell’app raBBit (
http://tinobagdad.com/rabbit), le immagini incastonate nella
pietra prendono vita trasportando lo spettatore al fianco di Tino nelle sue
meravigliose avventure. Il gioco cui è chiamato il visitatore è infatti quello
della scoperta di un mondo incantato, dove immagini e narrazioni sono costruite
alla stregua di un teatro delle ombre e i personaggi sembrano uscire da una
visione estremamente vicina al mondo dei sogni. Ecco cosa ci hanno detto ConiglioViola.

Pensando al progetto “Le notti di
Tino Bagdad” quello che mi ha subito incuriosita è la scelta del soggetto.
Delle meravigliose avventure espressioniste che ricordano “Le mille e una
notte”: come mai avete scelto il testo di Else Lasker-Shüler? Cosa pensi renda
ancora attuale questa raccolta di fiabe?

«Else,
benché quasi sconosciuta in Italia, era un personaggio fantastico della Berlino
inizio ‘900. Una figura carismatica, punto di riferimento di scrittori e
giovani artisti, animava i caffè letterari dell’epoca, che si contrapponevano
dialetticamente al sistema delle gallerie per proporre sperimentazioni
artistiche e letterarie d’avanguardia. Else usciva vestita da uomo, e spesso
impersonava i personaggi dei suoi racconti. Non era raro vederla travestita da
fachiro e chiedere agli astanti di fare spazio al suo stuolo di “servi”,
naturalmente immaginari. La poesia di Else, il suo linguaggio criptico e
voluttuoso, rappresenta un caleidoscopio di contaminazioni. In pieno stile
esotista, la Bagdad di Else è frutto di immaginazione poetica, narrazione di un
altrove indefinito e mai mimesi: nelle architetture mitologiche e nei
personaggi da lei cantati si mescolano contemporaneità e antichità, Egitto e
antica Grecia, Costantinopoli e la Berlino contemporanea. La poesia si palesa
sotto forma di architettura. E l’architettura diventa costruzione del sé. Tino,
principessa e poetessa d’Arabia, è proiezione dell’autrice, ma anche metafora
della poesia. Come per Sherazade la sua missione è poetare, ma se la prima
canta per procrastinare la morte, ella sceglie di morire per perpetuare il suo
canto
».

Osservando le opere, il complesso rapporto tra il
mondo analogico e quello digitale sembra una cifra fondamentale: in che modo lo
avete gestito?

«L’allestimento
della mostra, curata da Kaninchen-Haus, vuole restituire, attraverso due
narrazioni parallele, il complesso processo di genesi di questo progetto,
nonché la pluralità di linguaggi che esso parla. Il piano terra della ex chiesa
di S. Sisto in Carrobbio dona allo spettatore una fruizione basata sulla multimedialità.
I sedici lightbox di cemento in esposizione restano immobili finché lo
spettatore non accetta l’invito a scaricare l’app raBBit per inquadrare le
opere. Ecco che allora le finestre “orientali” diventano altrettanti boccascena
teatrali. Ognuna delle opere, già esteticamente autosufficienti, si anima per
mettere in scena, grazie a un utilizzo inedito della realtà aumentata, uno
degli episodi che compongono il “film diffuso”. L’immagine statica diventa così
movimento. La concretezza del cemento trova un contrappeso nella virtualità
della visione aumentata. La balconata centrale ci offre una vista della cripta
del museo: la proiezione in loop che trasforma i connotati del pavimento
granitico va a incastrarsi in uno dei teatrini di rame esposti nei sotterranei.
Qui la tecnologia arretra di un secolo. Incisioni su rame, maschere di bizzarri
animali in cartapesta, teatrini, fotografie e disegni riprodotti con la tecnica
dell’acquaforte illustrano il cosiddetto “backstage” dell’intero progetto.
L’utilizzo combinato di nuove tecnologie e tecniche tradizionali non fa che
rappresentare l’intento di servirsi della tecnologia piuttosto che
rappresentarla (come spesso accade): la tecnologia, vecchia o nuova che sia, è
per noi strumento e non oggetto di narrazione
».

Un altro tratto estremamente affascinate del
progetto è quello dell’essere diffuso per la città, di porsi come una sorta di
caccia al tesoro: in che modo la dimensione ludica entra ne “Le notti di Tino
Baghdad”?

«Tanto nel
museo come nei 10 episodi diffusi in città lo spettatore è regista dell’opera
che attende il suo libero gesto per rendersi viva. Molte tecnologie
contemporanee sembrano offrire oggi risposta a istanze e teorie artistiche o
letterarie elaborate dagli intellettuali del secolo scorso. Si pensi all’idea
di Opera Aperta o alle teorie della letteratura combinatoria. Il nostro
obiettivo era mettere in discussione i tradizionali schemi di fruizione
dell’opera, per invitare il lettore non solo a entrare nella fabula ma anzi a
comporla attraverso il suo proprio itinerario. Lo spettatore di Tino è un
montatore cinematografico, attraverso il suo errare indefinito ricombina le
tessere del racconto. Esploriamo una nuova dimensione di arte pubblica, dove
l’opera, come evidenziava per esempio Davide Giannella durante uno dei talk che
sono stati programmati a latere della mostra, non si impone sul pubblico ma
lascia allo spettatore la libera scelta di essere o meno fruita
».

Costanza Sartoris

Video: Giovanni Sannino

Audio credits: Untitled PVC Quena_JA rearrange, naotko. 2016 naotko Licensed to the public under 
http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/ Verify at http://ccmixter.org/files/naotko/53563

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