In occasione del suo 50mo anniversario, la Dia Art Foundation dedica un documentario celebrativo all’opera di Walter De Maria, tra i più radicali e visionari interpreti del minimalismo e della Land Art americana. Il film ripercorre la relazione profonda tra l’artista e i paesaggi sconfinati che hanno accolto, e spesso inglobato, le sue installazioni più celebri. È anche un omaggio al ruolo cruciale che la Dia ha avuto nel rendere possibili e nel preservare queste opere fuori scala, sospese tra arte, geografia e cosmologia. Fondata nel 1974 a New York da Heiner Friedrich, Philippa de Menil e Helen Winkler, la Dia ha l’intento di sostenere progetti artistici ambiziosi, duraturi e spesso fuori scala, difficilmente realizzabili nei circuiti museali tradizionali.
Nato a Albany, California, nel 1935, De Maria è stato uno dei protagonisti della svolta ambientale dell’arte degli anni Sessanta. Dalla pittura e scultura minimalista degli esordi, passò rapidamente a un’indagine sulla spazialità che sfidava ogni convenzione museale. Con il Mile Long Drawing del 1968 – due linee tracciate per un miglio nel Mojave Desert – comincia un ciclo di lavori site-specific destinati a mutare il rapporto tra opera, territorio e percezione.
Il documentario si concentra su quattro installazioni che oggi fanno parte della rete di spazi della Dia Art Foundation: The Lightning Field (1977) nel New Mexico, The New York Earth Room (1977) e The Broken Kilometer (1979) a New York, e The Vertical Earth Kilometer (1977) a Kassel, in Germania. In ognuna, l’opera si lega indissolubilmente al luogo che la ospita, secondo una concezione “geologica” dell’arte. Le centinaia di pali in acciaio di The Lightning Field, disseminati in un rettangolo perfetto nel deserto, diventano antenne metafisiche per le forze celesti. Il chilometro verticale di ottone interrato nel suolo tedesco, visibile solo come un punto dorato, interroga lo spettatore sul concetto di misura, profondità e invisibilità. The Broken Kilometer e Earth Room – rispettivamente una distesa di aste in ottone e una stanza riempita interamente di terra – portano la Land art nello spazio urbano, ma ne conservano l’enigma.
La narrazione del documentario, scandita da materiali d’archivio, riprese aeree e testimonianze, rende evidente la continuità tra visione artistica e cura istituzionale. Sin dagli anni Settanta, infatti, la Dia Art Foundation ha supportato Walter De Maria nella realizzazione delle sue opere più ambiziose, creando una costellazione museale diffusa, in cui lo spazio naturale e quello urbano si fanno entrambi custodi del tempo. E del silenzio.
Celebrando l’eredità di De Maria, il documentario racconta anche un modello di produzione artistica e di committenza che ha fatto scuola. A distanza di decenni, l’impatto di queste installazioni resta intatto. Il loro valore, difficile da definire in termini di mercato o funzione, continua a risiedere nell’esperienza diretta, nella lenta assimilazione, nella durata.
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