Il 19 settembre a Bra, in provincia di Cuneo, negli spazi dell’associazione Il Fondaco (Bra – Arte Contemporanea), alle 18.30, inaugura la mostra “Metamorfosi dell’abbandono” di Ivan Manzone (1976, Canale, Cuneo) e Livio Ninni (1989, Torino), a cura di Francesca Interlenghi (fino al 17 ottobre).
«Fedele al suo obiettivo di diffondere l’arte contemporanea e con l’intento di perseguire la conoscenza, conservazione e documentazione del territorio nei suoi vari aspetti di tradizione, arte, architettura, paesaggio», Il Fondaco ha dato vita a questo «progetto espositivo che verte sul tema dei luoghi abbandonati, quelli che giacciono al margine, gli scarti del progresso, luoghi destinati al declino e all’oblio e che trovano nell’arte la loro metamorfosi vitale. Architetture selvatiche e brutali, paesaggi oscuri e anfratti notturni diventano ricettacoli di vita, ambienti quasi tattili e carnali», ha spiegato l’associazione.
La mostra
La mostra spiegata con le parole dell’organizzazione:
«Differenti per attitudini, esiti e approccio creativo, i due artisti si immergono negli spazi e li cristallizzano da angolazioni diverse, ognuno con la propria poetica, accomunati da un criterio che tiene conto della singola forma mentis di ciascuno e che intende porre in risalto l’originalità dei percorsi individuali».
«Fotografo “puro”, Ivan Manzone colloca la figura umana all’interno di strutture fatiscenti e decadenti. Le diciassette opere fotografiche in mostra raccontano il pervicace ancoramento alla vita che trasuda dalla posa, dalla vibrante tensione dei muscoli, dall’immobilismo silenzioso, eppure roboante, del corpo presente immerso nell’assente: al contempo trionfante e sacrificato, statua e spoglia. Il tema dell’abbandono e dell’incuria ambientale viene qui indagato facendo leva sul rapporto di interrelazione tra oggetti inanimati e animati, in una costante dialettica che vivifica la convivenza tra residui solidi dell’esistenza e esistenza stessa».
«La ricerca di Livio Ninni insiste invece sulla trasformazione del paesaggio urbano nel tempo. Le mutazioni a cui esso è sottoposto sono strettamente collegate ai cambiamenti della società, della natura e degli agenti che lo circondano. Nello spazio a lui dedicato si trovano una istallazione site specific, che campeggia al centro della stanza, e una serie di opere di diversi formati e dimensioni appese alle pareti. A partire dal progetto delle polaroid, utilizzate dall’artista come “appunti” o “esercizi” in vista della realizzazione finale delle opere fino a una serie di fotografie trasferite su supporti di ferro, legno e cemento arricchite di interventi come segni, linee e forme grafiche. Il carattere materico delle opere produce, sul piano della fruizione, un’inedita sollecitazione sensoriale. Il leitmotiv è qui il tema della resilienza della natura, baluardo che si oppone all’intervento dell’uomo sull’ambiente naturale con lo scopo di adattarlo ai propri interessi».
«Una mostra che racconta i luoghi dell’abbandono e attraverso la loro metamorfosi racconta un territorio sconfinato in cui gli estremi si attraggono e convivono e invitano a una relazione unitaria. Quello che sempre mi interessa è il processo, prima ancora che l’esito, di unificazione dei contrari, il tentativo di ricucire la dicotomia tra gli opposti: bellezza e bruttezza, la vita e la morte, il farsi e il disfarsi qui così bene rappresentati», ha scritto la curatrice Francesca Interlenghi.
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