La Turandot di Ai Weiwei: dietro le quinte del debutto operistico dell’artista dissidente
Il debutto alla regia operistica dell’artista cinese diventa un film: al Festival dei Popoli di Firenze, il documentario di Maxim Derevianko sul dietro le quinte della Turandot messa in scena al Teatro dell’Opera di Roma
di Redazione
L’arte come atto di resistenza, la scena come spazio di libertà. Con queste premesse arriva al Festival dei Popoli di Firenze, manifestazione dedicata al cinema documentario, AI WEIWEI’S TURANDOT, film diretto da Maxim Derevianko che racconta il debutto alla regia operistica del celebre artista e attivista cinese Ai Weiwei. Il documentario, che sarà presentato in anteprima nazionale il 4 novembre nella sezione Doc Highlights, è un potente ritratto del processo creativo e umano che ha portato l’artista a reinterpretare uno dei capolavori più complessi del repertorio lirico, la Turandot di Giacomo Puccini, in chiave politica e contemporanea.
Girato tra il 2020 e il 2022, negli anni più drammatici della pandemia, il film segue Ai Weiwei nella genesi della sua Turandot al Teatro dell’Opera di Roma, svelando il dietro le quinte di un progetto che diventa allo stesso tempo un’opera d’arte totale e un manifesto etico. Attraverso immagini inedite, momenti di creazione scenica e riflessioni personali, AI WEIWEI’S TURANDOT si trasforma in un viaggio attraverso i temi che da sempre animano la poetica dell’artista: libertà d’espressione, memoria collettiva, diritti umani e potere trasformativo dell’arte.
Come ha dichiarato Ai Weiwei, il tradimento di Giuda o l’enigma di Turandot non appartengono solo alla sfera narrativa ma diventano simboli universali dell’umano, della perdita e della ricerca di verità. Nella sua lettura, l’opera pucciniana si fa terreno di confronto tra Oriente e Occidente, tra ragione e sentimento, tra il dominio dell’ideologia e la fragilità dell’individuo.
Il regista Maxim Derevianko, figlio del celebre ballerino dissidente russo Vladimir Derevianko, trova in questa storia un’eco personale: «Conoscevo Ai Weiwei come un simbolo della libertà di parola», racconta, «Un rivoluzionario che usa l’arte per trasmettere messaggi di umanità. Mio padre ha dovuto fuggire dalla Russia nel 1982 per difendere la propria libertà artistica: in questo film ho voluto intrecciare le nostre storie, la sua e quella di Ai Weiwei, come due percorsi di resistenza attraverso la bellezza».
Il documentario riflette su una domanda essenziale – «Che cos’è l’arte e perché ne abbiamo bisogno?» – e lo fa mostrando come l’atto creativo possa farsi gesto politico. La pandemia, che ha sospeso il tempo del mondo e chiuso i teatri, diventa nel film una metafora della condizione umana contemporanea: un tempo sospeso, da cui l’arte prova a far rinascere il senso di comunità e di libertà.
AI WEIWEI’S TURANDOT è una produzione Incipit Film e La Monte Productions, in associazione con AC Films, White Feathers Films e Homemade Entertainment LLC, con il sostegno del Fondo Audiovisivo FVG, di Io Sono Friuli Venezia Giulia e della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, in collaborazione con il Teatro dell’Opera di Roma.
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