[Galleria Unosunove, Roma] Due giovani artisti – uno americano, l’altro inglese -, per una doppia personale che punta sull’installazione. Il mirror globe di Conrad Ventur riflette e moltiplica sulla pareti di una stanza buia il volto di Marlene Dietrich in una celebre performance del 1972: l’attrice, allora settantaduenne, rappresenta l’intromontabilità del mito, simbolo di un passato che credeva ancora negli ideali ed era capace di costruire icone eterne.
Alla sua prima personale in Italia, James Hopkins indaga in chiave contemporanea il tema della vanitas, ricreando singolari nature morte a partire da oggetti d’uso quotidiano manipolati, intagliati, assemblati, dissimulati. Ancora illusionismo e percezione ottica alla base di Slammer, opera con forti implicazioni biorafiche: il disequilibrio immobile di alcune bottiglie di alcolici evoca quell’attimo fatale che precede il collasso, la caduta. Hopkinsk lo blocca, per assurdo. Quasi a ricordare il momento in cui, prima del crollo, decise di smettere di bere. Ilaria Gianni e Manuela Annibali introducono i lavori…